top of page

L'amico di Cosa Nostra


Martedì 24 Marzo 2020, dopo un anno e mezzo dal sequestro, è stato restituito il tesoro, di circa 150 milioni di euro, all’ancora indagato per concorso esterno in associazione mafiosa Mario Ciancio. Ad emanare la misura cautelare reale è stata la Corte d’Appello che, con 117 pagine di sentenza, restituisce La Sicilia, La Gazzetta del Mezzogiorno, Antenna Sicilia e Telecolor all’imprenditore catanese. I giudici, infatti, giustificano quest’azione scrivendo che c’è una “mancanza di pericolosità sociale”. In una parte della sentenza l’imprenditore non viene definito associato alla famiglia mafiosa ma “un amico” di cosa nostra catanese, e inoltre “ciò che è emerso in maniera certa ed univoca è che tra Cosa nostra catanese e Mario Ciancio Sanfilippo si sia progressivamente consolidato nel tempo un rapporto di particolare vicinanza - cordialità”. Quest’affermazione cambia e crea una nuova figura di imprenditore che ha contatti con la mafia: infatti non è né vittima né colluso, ma semplicemente “amico”. Il procuratore Zuccaro, intervistato da I Siciliani, dichiara che questa sentenza sia “meritevole di approfondimento”, malgrado la decisione del palazzo di giustizia. L'indomani, La Sicilia tra le righe di un articolo riguardante il caso Ciancio scrive: “sapere che La Sicilia non è un giornale mafioso dà sollievo a tutti”, nonostante nessuno avesse detto che il giornale fosse mafioso, fu detto soltanto che fosse stato utilizzato in alcuni casi come semplice strumento.

Dopo esattamente una settimana i ragazzi de “I Siciliani” hanno organizzato un’assemblea online per parlare di questa sentenza storica e hanno intitolato l’incontro “L’amico di cosa nostra”.

Matteo Iannitti apre l'incontro con queste parole: “Noi facciamo i giornalisti, proviamo da attivisti a fare antimafia e pensiamo che il nostro compito sia quello di continuare a farlo anche in un momento così drammatico e complicato come questo.”

Il giornalista Dario De Luca di Meriodionews ci racconta alcune vicende che segnano la storia del quotidiano più importante di Catania e del suo direttore. Nell’ottobre 2008 La Sicilia pubblica una lettera di Vincenzo Santapaola, figlio del noto boss Nitto Santapaola, nonostante fosse al 41 bis e senza alcuna autorizzazione del GIP. In pratica il giornale più influente di Catania pubblica dichiarazioni di un mafioso come se fosse un libero cittadino, dichiarando che ciò fosse stato autorizzato da un magistrato. Dario Montana, fratello del commissario della squadra mobile di Palermo ucciso nell’ottobre dell’85, si costituisce parte civile nel processo in quanto il giornale aveva negato la pubblicazione del necrologio col seguente testo “La famiglia con rabbioso rimpianto ricorda alla collettività il sacrificio di Beppe Montana. Commissario di P.s.. Rinnovando ogni disprezzo a mafia e ai suoi anonimi sostenitori”.

Antonio Condorelli, giornalista di LiveSicilia, ha concluso così il suo intervento sul sistema mafioso Catanese ricordando anche Pippo Fava: “La mafia Catanese non è più la mafia di coloro che impugnano le armi e questo sistema giudiziario non ha i vaccini per contrastarla. Il problema è il sistema, lo stesso sistema che è stato raccontato da Pippo Fava e che gli è costata la vita. “

Una cosa in questo processo è certa, Mario Ciancio potrà essere assolto grazie a qualsiasi tipo di sentenza, ma rimarrà per sempre una frattura insanabile tra il giornale e la città, lo stesso giornale che 36 anni fa ha provato a depistare le indagini sull’omicidio di Pippo Fava e che non ha mai chiesto scusa.

Edoardo Rubino




Comments


  • Instagram - Bianco Circle
bottom of page