Earth Day 2020: e gli altri 364 giorni?
- Scio me Nescire
- 29 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Qualche giorno fa, il 22 Aprile, si è celebrata la 50esima giornata dedicata alla Terra: L’ Earth Day. Certo, non è da buoni ospiti ricordarsi della propria casa solo un giorno all’anno e, stando ai dati, non possiamo proprio negare le nostre cattive abitudini. Basta dare uno sguardo all'ultimo report dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che ha identificato un innalzamento della temperatura globale di 1.5 ºC rispetto ai livelli preindustriali. E, a dimostrazione che tutto quello che facciamo ci torna indietro, secondo moti studiosi i cambiamenti climatici sono direttamente collegati alla causa per cui, ormai da quasi due mesi, siamo reclusi in casa: il COVID-19. Come è possibile tale relazione? I cambiamenti climatici determinano, come una reazione a catena, una serie di effetti collaterali sui fattori biologici: modificano gli habitat degli animali, che sono costretti a migrare e adattarsi a nuovi climi. Con loro si adattano anche i patogeni, virus batteri e funghi, che in un pianeta più caldo potrebbero trovare condizioni ideali per esplodere, diffondersi, ricombinarsi. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ritiene che una delle più grandi conseguenze del cambiamento climatico sarà proprio l’alterazione dei processi di trasmissione di malattie infettive. (fonti: Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, e il “Lancet Countdown Report 2019”) Ma non è finita qui. Infatti, come tutti sanno, una causa diretta del riscaldamento globale è lo scioglimento dei ghiacciai, la cui estensione continua a diminuire come non aveva mai fatto in almeno mille anni. Il ghiaccio marino artico si è assottigliato, in concomitanza con un passaggio al ghiaccio più giovane: dal 1979, la percentuale areale di ghiaccio spesso di almeno 5 anni è diminuita di circa il 90%. Non si trova in condizioni migliori il permafrost la cui temperatura, in meno di 10 anni (tra il 2007 e il 2016) nell'Artico e nell’Antartico, è aumentata rispettivamente di 0,39°C e 0,37°C. I cambiamenti nel permafrost influenzano il clima globale attraverso emissioni di anidride carbonica e metano (fonte: Ipcc). Ma non è noto a tutti che lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha rintracciato all’interno di campioni di ghiaccio di 15 mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli. (greenpeace) In poche parole, se per il coronavirus il meccanismo identificato dagli scienziati è quello di un salto di specie innescato dalla promiscuità con animali selvatici, amplificato dalla concentrazione di popolazione nelle megalopoli e trasportato dalla globalizzazione, la crisi climatica potrebbe offrire scenari ancora più pericolosi. Ovvero il riemergere dai ghiacci dei Poli o dai ghiacciai dell’Himalaya di virus che il loro “spillover” (passaggio di un patogeno da una specie all’altra) lo hanno effettuato in tempi remoti e che pensavamo di avere debellato per sempre. O, peggio ancora, di patologie che non conosciamo affatto. (green peace) Oltre al riscaldamento globale, potenziale fattore scatenante del virus, l’inquinamento ha un ruolo nella sua diffusione. Infatti uno studio di Harvard ha dimostrato che un incremento di solo 1 μg/m 3 di PM2.5 (polveri sottili di grandezza inferiore a 2,5 μg) è associato a un aumento del 15% della mortalità del COVID-19. Fortunatamente il rapporto inquinamento-virus non è unilaterale: la quarantena ha portato a una rilevante riduzione dello smog, dovuto alla forte diminuzione di trasporti, alla chiusura di fabbriche e al generale fermarsi delle città. Analizzando la mappa dell’inquinamento atmosferico in Europa e Cina fornita dai satelliti del’ESA (European Space Agency), gli scienziati del KNMI (il Reale Istituto Meteorologico d’Olanda) hanno rivelato un forte calo dell’inquinamento atmosferico nelle principali città europee e in particolare nelle città di Milano, Parigi e Madrid. Sempre a Milano il diossido di azoto N0 2 si è ridotto del 24%, mentre a Bergamo del 47% e a Roma di circa il 30% (EEA Agenzia Europea Ambiente). Tuttavia questi dati non dovrebbero fornirci false speranze. Infatti, usciti dalla crisi sanitaria, i governi dovranno affrontare la crisi economica e sicuramente la questione ambientale non rientrerà nelle loro priorità. Perché gli umani si ricordano del loro pianeta solo un giorno all’anno.
Di Letizia Verona

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